Il Menù non è quello che pensi tu: le 3 componenti del successo di qualsiasi Menù.
Posted on 1 aprile 2020
Torniamo a parlare di un argomento molto popolare sul blog di RistoratoreTop: del Menù.
In particolare vediamo perché “Il menù non è quello che pensi tu!”
Visto il titolo, forse ti aspetti un articolo un po’ “metafisico”.
Un articolo che “va oltre” il sensibile, il concreto, il tangibile e che risulti quindi un po’ inconcludente.
Ti prometto di no. Niente di tutto questo.
Se sei un ristoratore attento e intelligente, troverai tra queste righe grandi spunti.
Ma partiamo dall’inizio:
Cos’è, nell’immaginario comune, un menù?
“Menù” è una parola che nell’uso corrente è sta a significare l’oggetto “fisico” dal quale i clienti scelgono cosa mangiare all’interno di un ristorante.
Va da sé che viene quindi considerato dalla maggior parte dei ristoratori, erroneamente, una sorta di listino prezzi. Un “qualcosa” dentro al quale scrivere che piatti la cucina del ristorante è in grado di preparare, e quanto denaro è necessario investire per gustarli.
Ma è davvero solo questo?
No. Il menù è uno strumento molto, molto, molto più complesso, variegato e “composto”.
Dico “composto” perché il processo migliore che ho a disposizione per permetterti di capire cosa sia davvero un menù passa dalla “scomposizione” nelle sue tre parti fondamentali.Quelle che io chiamo…
Le tre componenti di successo di un Menù: il cosa, il come e il perché.
Se volessimo immaginare il menù come uno “strumento” composto da tre pezzi, questi pezzi sarebbero il cosa, il come e il perché.
Mi spiego meglio.
1. C’è il COSA inserire a Menù.
Siamo d’accordo sul fatto che sia impossibile che un cliente ordini una carbonara dal menù se prima questa non è stata ideata, se prima non è stato creato un prototipo, se questo non è stato ottimizzato, procedurizzato, “food-costato” (perdonami il neologismo terrificante!) e infine prezzato?
Insomma, prima di essere inserito sul menù, e quindi scelto da un qualsivoglia cliente, quel piatto va “progettato”!
Ecco, la componente “cosa” comprende tutti i piatti che hanno passato con successo quel processo di ideazione, test e inserimento. È in sostanza la parte creativa, laterale, intuitiva, estrosa che riguarda il menù.
Di norma il “cosa” è la componente preferita di chiunque si occupi di ristorazione in Italia, e va da sé che sia la parte sulla quale chiunque si concentra maggiormente.
Di solito questo passaggio è delegato alla cucina del ristorante (il tuo cuoco o il tuo staff di Cucina) oppure è il ristoratore stesso che se ne occupa, specialmente se è un appassionato della disciplina.
Una volta che questo processo è stato ripetuto per ogni piatto e per ogni bevanda si passa alla seconda componente, quella del “come”.
2. Il COME inserire i piatti a Menù.
Una volta determinati quali saranno i piatti da inserire sul menù, c’è da capire come questi verranno chiamati e descritti e, in un secondo momento, che design dovrà avere il menù nella sua complessità.
Per quanto riguarda nomi e descrizioni la disciplina che regola queste tematiche prende il nome di Menu Copywriting.
Una materia che abbiamo introdotto e descritto per bene nel libro Brucia il tuo Menù.
Perché c’è differenza tra mettere sul menù una:
Margherita – 5€
E una:
Margherita 3019
Con crema di mozzarella di bufala DOP, filetti di pomodoro san marzano rotto a mano da una vergine a piedi scalzi tra i filari di vite durante una notte di mezz’estate con la luna piena e gel di basilico al ghiaccio 18€.
(ho volutamente esagerato, non consiglio a nessuno di inserire a menù una pizza descritta in quel modo, ovviamente!)
Per quanto riguarda il design, estetica e layout, la disciplina chiamata in causa è il Menu Design, anch’essa introdotta nel libro di cui sopra.
Perché c’è anche in questo caso differenza tra il gettare in mano ai clienti un menù stampato in ufficio su un foglio A4 da 80 grammi al metro quadro e consegnare tra le mani del cliente una tavoletta di cedro con pinza in ottone e fogli in originale papiro egizio arrivato per via aerea in esclusiva la mattina stessa.
Per la componente “come” servono due (o tre) figure che si interfacciano tra loro:
- Un graphic designer (un grafico, se non ti piacciono gli inglesismi!)
- E un ingegnere del menù (o Food & Beverage Manager equivalente): cioè un professionista che sappia leggere tra i numeri del menù e capire quali vale la pena inserire e come descriverle.
- Se
hai soldi da buttarevuoi fare le cose fatte bene puoi arruolare un copywriter, cioè un professionista che si occupa di… Scrivere. Ma in questo caso sarebbe un po’ come sparare ad una mosca con un cannone, if you know what I mean.
In qualche caso estremo è il ristoratore che, nella veste di “tuttofare”, compie tutte le sopracitate fasi.
Per molti, soprattutto tra chi ci segue o ha letto il libro brucia il tuo menù, la componente “come” sembra essere il punto focale di tutto.
Tanto che recentemente, vuoi anche perché il tema “menù” è tornato alla ribalta, in seguito al lancio di MenuMastery, il nostro gruppo Facebook è letteralmente preso d’assalto con persone che chiedono consigli riguardo al loro menù.
Ora, qual è il problema?
CHE MOLTI CONFONDONO IL MENU (NELLA SUA TOTALITÀ) PER IL “COME” È FATTO IL MENU.
Invece non è così. Il “come” è solo una delle tre parti.
Ed è questa la ragione per la quale questo articolo si chiama “il menù non è il menù”.
Ed è questa la ragione per la quale, quando vedo post sul gruppo dove chiedete consiglio è semplicemente impossibile rispondervi qualcosa di sensato. Possiamo infatti solamente commentare il “come” è stato fatto, ma non il “cosa” o soprattutto l’ultima componente, il “perché”, che è la più importante.
Ma c’è una terza tipologia di menù, che sono quelli che fanno veramente la differenza tra risultati “nì” e risultati “game changing”, e questi menù si concentrano specialmente sulla terza componente.
E lo fanno prima di concentrarsi sulle altri due.
La terza componente è il perché.
3. Il PERCHÉ inserire i piatti a Menù.
Quando domando “Perché avete inserito quel piatto sul menù?” di solito il perché è inesistente. Non lo sa nessuno: ristoratore, cuoco, capo sala, lavapiatti, tutti si guardano tra loro come a dire “Tu lo sai? Perché io no!”
In alternativa, quando il perché c’è, è sbagliato. Infatti mi si risponde spesso che il piatto è a menù perché…a quando mi rispondono mi dicono una di queste:
- Ispirazione. “Ero sotto la doccia, in macchina, in spiaggia, in ferie, mi sentivo ispirato e… BOOM! L’ho messo a menù senza tanti pensieri.”
- Necessità. “Guarda Lorenzo, in tutta onestà avevo una rimanenza della sera prima, dovevo farlo fuori e l’ho messo a menù. é piaciuto e quindi eccoci qua.”
- Convenienza. “Il mio fornitore mi fa un prezzone sull’ingrediente principale. Non potevo non usarlo!”
- Ecc ecc
Queste — e tantissime altre — sono tutte motivazione lecite e comprensibilissime, ma non valide. Non sono sufficienti.
O meglio, lo sono se si vuole continuare a giocare nella categoria “pulcini” e tirare due calci con gli amici al calcetto del lunedì sera, ma non lo sono se si vuole giocare in serie A e palleggiare con Ronaldo.
Le uniche due ragioni che io reputo valide sul perché un piatto vada inserito a menù sono queste:
A) La prima riguarda il Marketing, e cioè che quel piatto deve darti dei vantaggi in termini di visibilità, di riconoscibilità del tuo brand, di coerenza con la tua Identità Differenziante, di differenziazione e memorabilità rispetto a tutti gli altri che hai sul menù e rispetto a tutti quelli presenti sui menù concorrenti.
Che è facile? Neanche per idea.
Ma con la metodologia che ci siamo inventati, che prende il nome di Signature Strategy, non solo diventa facile, ma anche veloce e divertente. La presentiamo all’ultima edizione di MenuMastery.
B) La seconda riguarda la Vendita, e cioè che quel piatto deve farti GUADAGNARE quanto credete sia giusto, e questo “giusto” deve essere almeno “di più della media di tutti gli altri piatti presenti a menù”
Quando questi due “perché” sono presenti contemporanemente, hai la lode e il bacio accademico da RISTORATORETOP.
Ne hai solo uno? Rimandato a settembre.
(Certo, che poi tu possa creare piatti che rispettino i due perché e uniscano anche ispirazione, convenienza o necessità va benissimo, ma ti consiglio che siano l’eccezione, non la regola.)
Ecco, la Signature Strategy è un processo che ci siamo inventati (e di cui abbiamo depositato il marchio) per fare proprio questo: per permetterti di avere sul menù solo piatti che rispettino i due perché, e per costringerti a ragionare prima sul perché e solo in seguito sul “cosa” e sul “come”.
Un ulteriore vantaggio nel lavorare sul “perché” prima di concentrarsi sugli altri due.
E cioè che il “perché” è invisibile. È il bello della Signature Strategy, baby: non si vede da fuori.
(anche se i risultati sono evidenti, come dimostrano tutti i nostri clienti privati!) Invisibile sia agli occhi del cliente, e qua devi essere bravo ad usarlo in modo etico e responsabile, come sai da grandi poteri derivano grandi responsabilità, che dei concorrenti.
Risultato? I clienti non sentiranno “odore di bruciato” — come invece potrebbe accadere con un approccio troppo spinto per quanto riguarda la fase del “come” — e i concorrenti non si accorgeranno di nulla. E non ti devo di certo spiegare che vantaggio sia, questo, in termini competitivi.
Detto questo, se vuoi approfondire le tematiche, ti lascio alla dodicesima puntata di Un Bicchiere con Lore, durante la quale ho parlato proprio delle tre componenti del successo di un menù e di come utilizzarle.
Fonte: Lorenzo Ferrari – RISTORATORE TOP
LEGGI ANCHE:
Got something to say?