IL TARTUFO D’ABRUZZO
Posted on 15 febbraio 2018
Eppure non tutti i tartufi sono commestibili: a fronte di oltre 60 specie di funghi classificate come “tuber”, solo 9 di queste possono essere utilizzate per scopi alimentari. In generale, le specie comunemente commercializzate sono sei e ognuna di queste varia in quanto a sapore e grado di pregio: c’è il tartufo nero liscio e quello nero invernale, il tartufo bianco (chiamato anche Magnatum Pico), il Bianchetto ed infine il tartufo estivo, detto anche “scorzone”.La loro diffusione sulla penisola italiana spazia dal Piemonte alla Calabria, passando per l’Emilia Romagna, le Marche, l’Umbria e la Basilicata. Un posto d’onore va tuttavia riservato all’Abruzzo ed al confinante Molise vere e proprie terre di tartufi.
In Abruzzo, infatti, ogni zona è adatta per cercare e raccogliere tartufi, tanto che ogni luogo e località possiede delle caratteristiche talmente specifiche da favorire la crescita di alcune particolari specie: questa regione è così ricca che si contano almeno 28 varietà differenti di tartufo.
Tra i tartufi maggiormente raccolti e commercializzati si nominano sia il tartufo bianco che quello nero, considerato il vero e proprio “diamante” della cucina abruzzese; il tartufo scorzone, al contrario, copre la restante parte del raccolto.
Eppure, conoscere approfonditamente le zone di diffusione del tartufo e delle sue varietà non basta: improvvisarsi cercatori non porterà a nessun risultato concreto in termini di raccolta, perché solo la conoscenza approfondita del prodotto e il valido aiuto di un cane debitamente addestrato sono le caratteristiche che rendono abile un ricercatore.
D’altra parte non è neanche possibile diventare raccoglitori da un giorno all’altro: l’Arssa (Agenzia Regionale per i Servizi di Sviluppo della regione Abruzzo) ha condotto studi per catalogare e descrivere ciascuna zona ed è doveroso sottolineare che è proprio questo l’ente che abilita all’esame per il rilascio del tesserino da ricercatore, indispensabile per svolgere tale attività
Qualche riga più sopra abbiamo fatto menzione dei cani, indispensabili nell’attività della ricerca e della raccolta dei tartufi: se la razza giudicata più adatta per la ricerca è, secondo gli esperti, il Lagotto Romagnolo, non è raro che i tartufai si accompagnino anche ai Pointer, agli spinoni, ai Cocker, ai Jack Russel e ai Bracchi che, quando ben addestrati nell’attività, possono arrivare a costare anche ottomila euro.
Ma, trovato un tartufo, cosa farne? Inutile dire che si tratta di un alimento molto delicato, oltre che pregiato, soggetto quindi a veloce deperibilità. La conservazione del tartufo non può prescindere dalla pulizia, solitamente effettuata con una spazzola o con un pennello, strumenti utili per eliminare gran parte della terra.
Successivamente si passa all’uso di uno straccio con il quale, delicatamente e senza strofinare, si eliminano gli eventuali residui. Una volta pulito, il tartufo va riposto in un contenitore a chiusura ermetica, così da impedire la dispersione del particolarissimo profumo dell’alimento.
E’ molto diffusa l’abitudine di ricoprire i tartufi con del riso: il tasso di umidità costante generato dalla presenza del riso evita sia che il prodotto si secchi eccessivamente sia che marcisca anzitempo. Che dire, poi, dell’incredibile profumo che assorbirà il riso in questione? Sarà ottimo da utilizzare in cucina per dar vita a risotti dall’alto potere aromatico.
Poiché è proprio in cucina che il tartufo trova la sua piena realizzazione è opportuno tuttavia fare una differenziazione di uso in base alla varietà che abbiamo tra le mani: se il tartufo nero, infatti, va utilizzato in quantità più generose e da cotto, quello bianco è essenzialmente un aromatizzante e, utilizzato in dosi ridotte per profumare i cibi cucinati, va consumato quasi esclusivamente crudo, spolverato e grattugiato sugli alimenti da insaporire.
E in quanto a ricette a base di tartufo, la cucina abruzzese offre moltissimi piatti che trovano proprio in questo alimento un vero e proprio ospite d’onore: dagli antipasti ai primi, dai secondi ai contorni, il tartufo trova la sua piena realizzazione sia in piatti di verdura che di carne.
Nonché sulla pizza ovviamente; una delle mie preferite per esempio è la “Mare e Monti all’Abruzzese” con Mozzarella, Gamberoni, Zafferano DOP dell’Aquila e Carpaccio di Tartufo, (io solitamente utilizzo quello nero estivo, fresco d’estate e in olio d’inverno), (ma quando è possibile non disdegno né quello nero invernale, né tanto meno il bianco pregiato)!
Ma eccolo apparire anche su crostini, polente, paté e insalate, oppure protagonista di risotti, agnolotti e spaghetti, o ancora di ricette a base di coniglio, merluzzo o filetto.
Insomma, il tartufo è un vero e proprio re della gastronomia abruzzese: il suo sapore dolce e intenso è qualcosa che tutti, almeno una volta, dovrebbero provare.
Note Bibliografiche:
“La filiera del tartufo e la sua valorizzazione in Toscana e Abruzzo” a cura di Enrico Marone – Edizione Firenze University Press (31 dicembre 2011)
“Il tartufo” – La Cucina Italiana – AA.VV- 2004
I NUMERI DEL TARTUFO ABRUZZESE:
La Regione stima che ogni anno la terra d’Abruzzo dona 200 quintali di tartufo. Ma è senza alcun dubbio un numero sottovalutato a causa del dilagante abusivismo nel settore.
Proprio i numeri, però, danno le dimensioni di un fenomeno in sorprendente crescita, che rappresenta una risorsa e un valore aggiunto. Tanto che l’Abruzzo guadagna posizioni sui mercati nazionali.
SETTEMILA CAVATORI. Da due anni esiste il logo “Tartufo d’Abruzzo. Sono 3.089 i tesserini rilasciati dall’istituzione della legge regionale 66 del 2012 (1.502 in provincia dell’Aquila, 738 nel Chietino, 355 in provincia di Pescara e 484 nel Teramano). A questi vanno aggiunti gli oltre 4mila stimati prima dell’entrata in vigore della legge 66/2012 che faceva riferimento alla legge quadro 752 del 1985 ancora in vigore e in via di revisione.
Le associazioni dei tartufai riconosciute dalla Regione sono 13. E, ancora. Il 35,1% del territorio ha le caratteristiche idonee per il tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum) che cresce per il 70% in una fascia altimetrica fra i 700 e i mille metri. Mentre il tartufo bianco (Tuber magnatum) è presente spontaneamente su una superficie pari al 27% (l’80% fra i 500 e i 900 metri d’altitudine). In Abruzzo si contano 28 qualità di tartufo, alcune poco pregiate.
Sempre per quanto riguarda il tartufo bianco, la “Carta della vocazionalità tartuficola della regione”, elaborata dall’Arssa e curata da Gabriele De Laurentiis e Domenicangelo Spinelli, ha censito 435 tartufaie naturali (87 L’Aquila, 176 Chieti, 65 Pescara, 107 Teramo).
Le tartufaie di nero pregiato, invece, sono 226 (191 L’Aquila, 18 Chieti, 4 Pescara, 13 Teramo).
COLTIVAZIONI IN AUMENTO. Negli ultimi 15 anni, poi, si è verificato un notevole incremento di impianti tartufigeni in seguito delle ottime prospettive di mercato del prodotto e di una acquisita consapevolezza della potenzialità produttiva. Solo dal 1986 al 2008 sono state realizzate 129 tartufaie e hanno aperto 83 aziende (il 39% in provincia dell’Aquila, il 34% nel Teramano).
«Con questi numeri, l’Abruzzo si conferma tra le regioni italiane più importanti per produzione di tartufo», sottolinea il consigliere regionale Lorenzo Berardinetti, fautore della modifica legislativa, «gli effetti sull’economia sono rilevanti e tali da giustificare una crescente attenzione da parte di cavatori, commercianti o ristoratori pronti ad offrire ai propri clienti un prodotto di elevata qualità. Il tartufo abruzzese è ancora poco valorizzato ma rappresenta una vera e propria risorsa in termini di sviluppo economico e turistico.
Indicativamente il tartufo commercializzato in Abruzzo, dai venditori professionali, ammonta a diversi milioni di euro l’anno. Il dato della produzione dichiarata alla Regione è parecchio sottostimato a causa di diversi fattori a cui si aggiunge che la stragrande maggioranza del nostro prodotto viene venduto fuori dai confini regionali».
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