INDICE GLICEMICO DEGLI ALIMENTI
Posted on 29 novembre 2016
Il concetto di indice glicemico ha visto la luce nel 1981. La sua importanza, in una sintesi estrema, è che è un indice effettivo della “stimolazione insulinica” legata ad un dato alimento.
Si crede erroneamente che solo un alto livello di zuccheri nel sangue sia alla base di molte malattie, spesso ricondotte al diabete. In realtà, il concetto esatto è: la presenza di alti livelli dell’ormone insulina in circolo è estremamente dannosa. Ad esempio può alzare il colesterolo e facilitare la formazione della placca arteriosclerotica, pur con una glicemia nei limiti.
Privilegiare il consumo di cibi a basso IG:
- aiuta a controllare il peso corporeo
- diminuisce i rischi di diabete
- riduce il rischio di malattie cardiocircolatorie
- abbassa i livelli di colesterolo nel sangue
- aumenta il senso di sazietà tra i pasti
- aumenta la resistenza fisica
- nelle donne riduce i rischi di ovaia apolicistica
- etc...
Non c’è bisogno di fare calcoli complessi o pesare meticolosamente, basta seguire poche regole a carattere generale e tenere a portata di mano la tabella presente qui a seguire.
Ma cos’è in sintesi, l’insulina? L’insulina è definibile come “ormone dell’immagazzinamento”, perchè provoca accumulo di grasso nelle cellule adipose (attenzione! Non è il grasso che viene ingerito!). Fino a che il livello dell’insulina è alto il glucagone, l’ormone antagonista dell’insulina, l’ormone del digiuno, quello che fa bruciare i grassi accumulati, ed altri enzimi, non possono agire e quindi non sarà possibile perdere peso! Lo stesso avviene se l’insulina in circolo è alta per motivi fisiologici o patologici (es. insulino-resistenza, o il diabete). E’ un meccanismo perfetto, necessario ai nostri progenitori delle ere passate per fronteggiare le scarsità di cibo, ma oggi il contesto e il tipo di alimentazione lo stravolgono.
La strada per il diabete.
Una recente teoria (rif. bibliografia) vede la continua ed eccessiva stimolazione insulinica come la causa principale del diabete di entrambi i tipi.
La continua presenza di alti livelli di insulina nel sangue inizierebbe a creare una “assuefazione” all’insulina. Ossia sono necessari livelli sempre più alti di insulina per abbassare il livello di zuccheri nel sangue. E’ la fase dell’insulinoresistenza che progressivamente porterà ad avere livelli sempre più alti di insulina nel sangue, con un valore di glicemia sempre più elevato. Si arriverebbe così al diabete di tipo 2. Protraendo questa situazione nel tempo, si arriverebbe all’esaurimento progressivo delle cellule pancreatiche. L’impossibilità di produrre insulina da parte del pancreas, sfocerebbe allora nel diabete di tipo 1: assoluta necessità di avere insulina somministrata per via esterna. Tale processo è legato fortemente alla tolleranza individuale.
I carboidrati
Esistono tre tipi di carboidrati: i monosaccaridi e i disaccaridi (zuccheri semplici) e i polisaccaridi (carboidrati complessi). I monosaccaridi, come il glucosio ed il fruttosio, contengono una sola molecola di zucchero. I disaccaridi, come il saccarosio, il lattosio ed il maltosio, sono costituiti da due molecole di zucchero legate assieme. I polisaccaridi, come l’ amido, il glicogeno e la cellulosa, sono formati dal legame di diversi monosaccaridi, creando lunghe molecole.
La trasformazione dei carboidrati in glucosio
Il nostro intestino trasforma e scinde tutti i carboidrati che riceve dal cibo in monosaccaridi. In questo modo potranno passare attraverso la parete intestinale, e circolare nel flusso ematico. Quindi sono trasportati verso il fegato, che li trasforma in glucosio. Il fegato lo può far tornare nel flusso ematico a scopo energetico, ma se nell’organismo vi è una quantità di glucosio superiore a quella di cui si ha bisogno, lo può trasformare in glicogeno per essere immagazzinato. Il rimanente glucosio nel sangue è convertito in grasso.
Per mantenere il glucosio del sangue entro valori tollerabili interviene il pancreas, secernendo gli ormoni insulina e glucagone. Quindi, un’assunzione eccessiva di carboidrati produce un aumento della glicemia e innesca il rilascio dell’insulina che riequilibra la situazione. Il picco insulinico è tanto maggiore quanto più alto è l’indice glicemico dei carboidrati assunti.
Cos’è l’indice glicemico?
L’aggettivo “glicemico” deriva dalla parola “glicemia” che sta ad indicare la presenza di glucosio nel sangue. La risposta glicemica ad un tipo di carboidrati esprime l’arricchimento di zuccheri nel sangue, dopo aver consumato un certo tipo di carboidrati. I carboidrati situati in cima della gamma delle possibili risposte glicemiche sono definiti carboidrati ad elevata risposta glicemica.
Il raffronto tra la risposta glicemica indotta da carboidrati di un dato tipo e quella di un carboidrato “standard”, solitamente glucosio o pane bianco, dà, come risultato, un confronto rappresentato dall’indice glicemico che può, quindi, essere usato per valutare l’impatto che i carboidrati ingeriti hanno sugli zuccheri presenti nel sangue.
L’indice glicemico è, quindi, la velocità con cui aumenta la glicemia in seguito all’assunzione di 50 g del carboidrato sotto esame. L’indice è espresso in termini percentuali, rapportandolo alla velocità d’aumento con la stessa quantità del carboidrato di riferimento (indice pari a 100): un indice glicemico di 50 significa che l’alimento innalza la glicemia con una velocità che è la metà di quella del glucosio. L’indice glicemico nella tabella qui presentata è riferito al glucosio. In altre tabelle che si trovano nella letteratura scientifica l’alimento di riferimento è un altro, spesso il pane bianco, un cibo tipico più vicino alla realtà quotidiana rispetto al classico glucosio, che viene usato solo in studi scientifici. Per calcolare l’indice glicemico rispetto al pane bianco basta moltiplicare per 1,37.
Con un’analogia, l’indice glicemico sta al carico glicemico come il peso specifico sta al peso di un materiale. Il peso specifico del ferro è maggiore di quello dei mattoni, ma è meno doloroso se ci cade sul piede una moneta di ferro piuttosto che un mattone!
La resistenza all’insulina
I fattori principali che contribuiscono alla variazione della risposta individuale ai carboidrati sono la resistenza all’insulina e il tipo dei carboidrati assunti.
L’ espressione “resistenza” all’insulina indica una situazione nella quale il trasporto di glucosio nei tessuti sensibili all’insulina è inibito, come nel diabete. A seconda del grado di resistenza all’insulina, il glucosio e l’insulina possono aumentare dando via ad una maggiore conversione di glucosio in grasso e ad un minore immagazzinamento sotto forma di glicogeno. La scarsa tolleranza ai carboidrati si traduce nella difficoltà a recuperare energia, una volta portato a termine l’allenamento e a ricreare la riserva di glicogeno nei tessuti muscolari. Di conseguenza l’atleta intollerante al glucosio si ritrova con una quantità limitata di glicogeno muscolare, presentando ovvie difficoltà a proseguire l’allenamento. Con le riserve di glicogeno scarse, l’organismo dovrà affidarsi agli ormoni dello stress, primo fra tutti il cortisone endogeno (cortisolo). L’aumento di questo ormone genera resistenza all’insulina, e la sua presenza può influire sulla tolleranza ai carboidrati.
Le combinazioni alimentari e altri fattori che influenzano l’ I.G.
A parità di quantità, la risposta glicemica indotta da un pasto misto, a contenuto di proteine, carboidrati e grassi, è diversa da quella che si può avere mangiando solo carboidrati. Infatti, un pasto misto è digerito più lentamente: la maggior permanenza di questo pasto nello stomaco deriva dal fatto che i suoi carboidrati sono rilasciati nell’intestino tenue in modo più lento e, quindi, penetreranno nel sangue più lentamente (ma gli effetti negativi di combinazioni alimentari errate si notano altrove!). Però si possono aggiungere grassi, che sono compatibili e rallentano la risposta glicemica. Anche un pasto ricco di fibre rallenta l’assorbimento e abbassa quindi l’indice glicemico del cibo ingerito.
Altro fattore è la cottura. Più un alimento è cotto e più questo viene assimilato facilmente, aumentando così l’ I.G. (ad esempio: Riso istantaneo bollito per 1 min = 66; Riso istantaneo bollito per 6 min = 128 ! ).
Stress e aumento di peso
L’accumulo di grasso e la difficoltà a perdere peso, possono essere comunque legati anche ad altri fattori. Ad esempio lo stress. Lo stress fa ingrassare: non solo perché può indurre a mangiare di più, ma soprattutto perché fa assimilare di più quello che si mangia. Questo effetto avviene sempre per via ormonale. I grassi che si accumulano per lo stress si dispongono dove sono più pericolosi: intorno alla vita (obesità centrale) con incidenza su ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari.
Studi di Zofia Zukowska della Georgetown University di Washington DC hanno portato all’individuazione del meccanismo alla base dell’aumento di peso indotto dallo stress. Questo sarebbe dovuto all’ormone “neuropeptide Y” (NPY) che, in condizioni di stress, fa accumulare maggiori quantità di grasso alle cellule del tessuto adiposo. «Sotto stress – spiega Zukowska – molte persone tendono a mangiare di più, per cui si pensa che lo stress danneggi la silhouette perché induce a mangiare troppo. Ma questa è solo una parte del problema. Noi abbiamo dimostrato che lo stress fa ingrassare anche per altre vie: non perché induce a mangiare troppo, ma perché fa assimilare di più quello che si mangia». Il neuropeptide Y, già noto per il suo ruolo di controllo dell’appetito a livello cerebrale, ha in realtà un secondo ruolo prima sconosciuto. «NPY agisce anche a livello dei nervi periferici che innervano il tessuto adiposo – continua Zukowska – Lo stress attiva questi nervi al rilascio di NPY, che stimola l’accumulo di grasso». Questo effetto è ancora più evidente quando, sotto stress, si è presi da “fame nervosa” e si mangia troppo.
Alcuni soggetti, invece, in periodi di stress tendono a dimagrire. C’è una spiegazione anche per loro: i loro nervi periferici rilasciano un altro messaggero chimico, la noradrenalina, che al contrario del NPY induce a bruciare più grassi. Se si riuscisse a manipolare questo meccanismo, si potrebbe indurre a comando l’eliminazione dei grassi e quindi il dimagrimento.
La tabella qui sotto fornita è anche scaricabile in formato .pdf cliccando qui: Tabella indice glicemico
Tabella dell’indice glicemico degli alimenti più comuni
20-40 | |
Yogurt scremato | 20 |
Fagioli di Soia in scatola | 21 |
Noccioline | 25 |
Fagioli di Soia | 27 |
Crusca di riso | 27 |
Fagioli rossi | 32 |
Ciliege | 32 |
Fruttosio | 32 |
Piselli secchi | 34 |
Fagioli marroni | 36 |
Orzo | 36 |
Pompelmo | 38 |
Lenticchie rosse | 38 |
Latte intero | 40 |
40-80 | |
Fagioli secchi | 41 |
Salsicce | 42 |
Lenticchie comuni | 42 |
Fagiolo | 43 |
Lenticchie verdi | 43 |
Fagioli neri | 44 |
Latte di Soia | 45 |
Albicocca | 46 |
Piselli bolliti | 46 |
Latte scremato | 47 |
Fettuccine | 47 |
Segale | 49 |
Cioccolato al latte senza zucchero | 50 |
Vermicelli | 51 |
Yogurt intero | 53 |
Pere fresche | 54 |
Spaghetti | 54 |
Mela | 54 |
Polpa di pomodoro | 55 |
Pane d’orzo | 56 |
Ravioli | 56 |
Spaghetti cotti per 5 min. | 58 |
Succo di mela | 60 |
All Bran cereali | 63 |
Pesca fresca | 63 |
Pere in scatola | 64 |
Zuppa di lenticchie in scatola | 64 |
Cappellini | 65 |
Maccheroni | 65 |
Linguine | 65 |
Riso istantaneo bollito per 1 min | 66 |
Lattosio | 66 |
Pan di Spagna | 66 |
Uva | 67 |
Succo di ananas | 68 |
Pesche in scatola | 68 |
Riso parboiled | 69 |
Piselli verdi | 69 |
Succo di pompelmo | 71 |
Cioccolato | 71 |
Pane di segale | 71 |
Succo di arancia | 75 |
Tortellini al formaggio | 75 |
Kiwi | 77 |
Torta comune | 77 |
Patate dolci | 77 |
Special K Kellogs | 78 |
Banana | 78 |
Grano saraceno | 78 |
Cereali dolci | 78 |
Spaghetti | 79 |
Riso integrale (brown) | 79 |
Farina di avena | 79 |
Biscotti da tè | 79 |
Pop corn | 79 |
Muesli | 80 |
Mango | 80 |
Uva sultanina | 80 |
Patate comuni bianche bollite | 80 |
80-100 | |
Riso integrale | 81 |
Riso bianco | 83 |
Pasticcio di carne | 84 |
Pizza al formaggio | 86 |
Zuppa di piselli | 86 |
Hamburger bun | 87 |
Farina di fiocchi d’avena | 87 |
Gelato | 87 |
Barrette di muesli | 87 |
Patate confezionate | 87 |
McDonald’ Smuffins | 88 |
Biscotto di pastafrolla | 91 |
Uva passa | 91 |
Pane di segale | 92 |
Maccheroni al formaggio | 92 |
Saccarosio, zucchero di canna | 92 |
Timballo | 93 |
Cous cous | 93 |
Cocomero | 93 |
Patate al vapore | 93 |
Ananas | 94 |
Semolino | 94 |
Gnocchi | 95 |
Cornetti | 96 |
Nocciole | 96 |
Fanta | 97 |
Mars barrette | 97 |
Pane integrale di frumento | 97 |
Frittella | 98 |
Biscotti di frumento | 100 |
Puré di patate | 100 |
Carote | 100 |
Pane bianco comune | 100 |
oltre 100 | |
Crackers | 102 |
Melone | 103 |
Panino | 104 |
Miele | 104 |
Patate bollite schiacciate | 104 |
Corn chips | 105 |
Panino ripieno | 106 |
Patate fritte | 107 |
Zucca | 107 |
Cialde | 109 |
Wafers alla vaniglia | 110 |
Dolcetti di riso | 110 |
Galletta tipo colazione | 113 |
Ciambella salata | 116 |
Patate al microonde | 117 |
Cornflakes | 119 |
Patate al forno | 121 |
Patatine fritte croccanti | 124 |
Riso parboiled, basso amido | 124 |
Riso bianco, basso amido | 126 |
Riso soffiato | 128 |
Riso istantaneo bollito per 6 min | 128 |
Pane di frumento senza glutine | 129 |
Glucosio | 137 |
Maltodestrine | 137 |
Tavolette di glucosio | 146 |
Maltosio | 150 |
Tofu frozen dessert | 164 |
Alcuni alimenti particolari
Birra
Da uno studio statunitense, rivolto ai diabetici e pubblicato sul JAMA (Journal of American Medical Association): uno o due bicchieri al giorno di bevande a basso contenuto alcolico forniscono protezione nei confronti delle complicanze cardiovascolari del diabete di tipo 2, la più diffusa forma di questa malattia. Al contrario di altre bevande contenenti zuccheri, infatti, la birra non alza il livello di insulina. In pratica, quanto finora era valido per la prevenzioni di infarti ed aterosclerosi in pazienti a rischio di malattie cardiovascolari vale ora anche per i malati di diabete. Comunque l’assunzione di alcolici per i diabetici non vale in termini assoluti. Il via libera per il consumo può e deve darlo solo il medico curante.
Pizza
Molte persone hanno notato che la pizza sembra mantenere la loro glicemia alta più a lungo che un altro cibo. Mentre la ragione per la quale succede questo rimane un mistero, questa credenza popolare ha ora una conferma scientifica. Studi hanno confrontato su pazienti insulino dipendenti l’effetto di un pasto a base di pizza con quello prodotto da un pasto che contiene cibi ad alto indice glicemico. Hanno scoperto che sebbene inizialmente l’incremento della glicemia era simile per i due pasti, l’IG ha continuato a salire ed è aumentato significativamente dalle 4 alle 9 ore successive dopo la pizza, diversamente che per il pasto di controllo. Un effetto simile lo dà anche la focaccia salata.
Riso
Riso e patate sono alcuni dei cibi più testati per gli indici glicemici.
Sono importanti sia perché se ne mangia una discreta quantità, sia perché possono avere un IG alto. La Prof. Brand Miller riporta il risultato di 49 studi sul riso. Gli indici trovati variano da 54 a 132.
Quale può essere la causa di una tale variabilità? Secondo la prof. Brand Miller, per il riso una delle considerazioni più importanti riguarda il rapporto che esiste tra “amilosio e amilopectina”. Lei dice che l’unico alimento integrale a grani che ha un IG alto è il riso a basso contenuto di “amilosio”. Esistono comunque alcune varietà di riso (come il Basmati, un riso a grani lunghi, o il Doongara, una nuova varietà australiana) che hanno valori intermedi di IG poiché hanno un contenuto di “amilosio” maggiore che il riso normale.
Si può dire che esistono quattro tipi di riso: a grani lunghi, a grani medi, a grani piccoli e quello che si chiama riso “dolce”. Quest’ultimo è quello usato normalmente nella cucina asiatica e non contiene “amilosio”, e quindi è quello dal più alto indice glicemico. Tra gli altri tre tipi, il riso a grani lunghi è quello il cui contenuto di amilosio è più alto, mentre quello a grani corti ha il contenuto di amilosio più basso. Inoltre il riso, meno è raffinato, minore è il suo IG.
Patate
La Prof. Brand Miller riporta il risultato di 24 studi sulle patate. Gli indici trovati per le patate variano da 67 a 158.
Secondo Brand Miller la varietà Pontiac è un caso a parte: queste patate hanno una buccia rosa ed hanno un IG pari a 80, minore di quello di altre varietà. A dire il vero, altri test dell’IG di patate novelle e patate bianche danno risultati addirittura più bassi. La spiegazione sta quasi certamente nel fatto che le Pontiac contengono poco amido. Sembra cioè che ci sia una correlazione positiva tra contenuto di amido e IG delle patate.
Latte
Il latte di mucca ha un IG da 39 (intero) a 46 scremato. Può essere interessante paragonarlo al latte di soia che ha IG 43 e un contenuto di carboidrati pari a 4,5 g/100 ml. Ciò non sorprende, dal momento che i fagioli di soia hanno IG pari a 25. Ma bisogna fare molta attenzione al fatto che non tutto il latte di soia è prodotto allo stesso modo, quindi anche l’IG varia.
Si può notare inoltre che i carboidrati presenti nelle bevande di soia hanno IG più basso del lattosio.
Fruttosio
Sciroppo di mais ad alto tenore di fruttosio
Maltodestrine
Lo sciroppo di mais ad alto tenore di fruttosio non è la stessa cosa che il fruttosio. Mentre quest’ultimo è fruttosio puro, il primo è un misto tra fruttosio e glucosio e il suo IG è inferiore (85-92, laddove quello del pane bianco è 100).
Le maltodestrine hanno invece stesso IG del glucosio.
(fonte: www.albanesi.it)
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