LA MAIALATURA IN ABRUZZO
Posted on 9 gennaio 2020
La tradizione del maiale ha radici antiche in Abruzzo e diverse sono le testimonianze che lo confermano. Basilio Cascella, attraverso le sue opere, ha documentato e tramandato tra fine ‘800 e inizio ‘900, la centralità del maiale negli spazi urbani dei centri abruzzesi, sottolineando l’antica funzione di hospes ad esso accordata, nel senso di chi è accolto in famiglia come parte integrante. Lo stesso Boccaccio, in un passaggio del Decamerone, aveva fatto notare cinque secoli prima a Frate Cipolla che “in terra d’Abruzzi gli uomini e le femmine vanno in zoccoli su pe’ monti, rivestendo i porci delle lor busecche”, ovvero insaccano la carne di maiale nelle budella.
Nella cultura e nell’economia contadina il maiale è da sempre simbolo dell’abbondanza. Diverse famiglie continuano ad allevarlo come un tempo, nutrito soprattutto con scarti aziendali e familiari, crusca e tritello, prevalentemente allo stato semibrado fino al raggiungimento del “peso forma” ideale, tra 180 e 200 kg. Attraverso le sue carni saporite, declinate in gustosi e tipici salumi, il maiale garantisce un’importante riserva di carne tutto l’anno: salami, salsicce, prosciutto, pancetta, e così via.
Un tempo la tradizione voleva che i maialetti, di due-tre mesi, venissero acquistati nelle fiere di paese o da allevamenti della zona ai primi di giugno o comunque in prossimità del giorno di Sant’Antonio da Padova. La scelta del periodo dell’ingrasso era legata alla maggiore disponibilità nella fattoria di prodotti per l’alimentazione degli animali, soprattutto cereali, mais e altre granaglie, pastoni di fave e favino, ghiande e mele nel periodo autunnale.
I maiali venivano scelti in base all’utilizzo: quelli chiari per le carni più magre erano destinati alla vendita, mentre quelli scuri con le carni più grasse erano riservati al consumo domestico e alla produzione di gustosi insaccati come la ventricina del vastese.
Il maiale nero, in passato largamente diffuso in tutto il territorio regionale, era scuro, piccolo e rustico, dalle carni saporitissime. Rimpiazzato per lungo tempo dalle più produttive razze internazionali come il “large white”, oggi viene riscoperto e allevato in diverse piccole aziende secondo regole che riguardano non solo il recupero delle caratteristiche morfologiche originarie, ma soprattutto un modo di allevare lento e rispettoso del ciclo agrario: ampi recinti, pascolo, ghiande, crescita e riproduzione secondo i ritmi della natura.
L’uccisione del maiale, ovvero la maialatura, avveniva con l’arrivo dei primi freddi invernali, che cadeva nel mese di gennaio, in fase di luna calante (la’mmanganza), in un periodo compreso tra le festività natalizie e il 17 gennaio, giorno di S. Antonio abate “protettore degli animali”. L’uccisione del maiale, il taglio delle carni e le successive preparazioni erano veri e propri rituali collettivi, momenti conviviali e di festa a cui partecipavano parenti e amici dando vita a una manifestazione corale fatta di canti e balli.
Tanti i piatti che si preparavano con le carni fresche e che erano consumati nei giorni immediatamente successivi al taglio. Tra tutti il cif e ciaf, pezzetti di carni grasse di maiale fritte con aglio e peperone dolce essiccato: si asportava una parte di guanciale, lo si tagliava a pezzi non troppo piccoli e lo si cuoceva in una padella di ferro direttamente sul fuoco del camino. Altri must della “maialatura” erano la polenta unta condita con spezzatino di maiale, il brodo con la testa, le costolette e le salsicce di carne e fegato alla brace.
La “scorta” per tutto l’anno era fatta di preparazioni come l’immancabile sanguinaccio dolce, una sorta di crema con zucchero, cioccolato e cannella, da usare come farcitura per i dolci, e poi innumerevoli insaccati come l’annoia, le salsicce di carne e di fegato, la coppa di testa con erbe aromatiche, il capocollo, il salsicciotto frentano, la ventricina, il prosciutto, la pancetta, il lardo, e altro ancora.
Ma “del maiale non si butta via niente”…così dal grasso fuso presente nei tessuti adiposi si otteneva lo strutto, utilizzato in cucina come sostituto dell’olio evo nella preparazione delle carni, nel ragù o per friggere, ma soprattutto lo strutto era indispensabile per la lunga stagionatura della ventricina (il globo ne viene tuttora cosparso dopo l’asciugatura) o per salumi come soppressate e salsicce che venivano immerse in un vaso di vetro riempito di strutto affinché il loro consumo potesse essere protratto nel tempo: questo consentiva sia di consumarle nel corso dell’intero anno, sia la formazione di flavour complessi e unici.
Fonte: Scuola del Gusto Abruzzo
Compagne ideali di molte preparazioni culinarie a base di maiale sono le PATATE di cui ti propongo questa particolare tipologia della MONTAGNA abruzzese del MEDIO SANGRO
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