TIPOLOGIE E TEMPERATURE DEGL’OLI IDEALI PER LA FRITTURA DELLE PATATE E/O DI ALTRI ALIMENTI IN GENERALE.

Posted on 5 maggio 2020

L’olio extravergine d’oliva è riconosciuto come il migliore lipide vegetale, tuttavia la sua produzione, commercializzazione e consumo rimane assolutamente marginale rispetto agli altri oli.

La produzione di tutti gli oli di oliva, compresi quindi anche i rettificati, rappresenta infatti meno del 3% di tutti gli oli vegetali.


Gli oli di semi, rispetto a quelli di oliva, sono molto più ricchi di acidi grassi polinsaturi e in particolare di omega 6 e omega 3 quali gli acidi linoleico, linolenico e arachidonico sostanze indispensabili all’organismo umano. Ciò però li rende allo stesso tempo meno resistenti al calore e quindi meno adatti per le fritture.

Secondo la legge è denominato olio di semi quello ottenuto dall’estrazione a mezzo di solventi o di pressione meccanica di semi oleosi e successivamente sottoposto, per essere reso commestibile, a processo industriale di rettifica o raffinazione.

L’olio ottenuto da un solo tipo di seme va posto in commercio con l’indicazione del nome del seme da cui è stato estratto.

Se invece l’olio è stato ottenuto dalla miscela di prodotti estratti da semi diversi si avrà l’olio di semi vari.

Negli oli di semi vari non è sempre possibile stabilire le percentuali dei singoli componenti, per cui è sempre preferibile utilizzare oli di semi monovarietali e possibilmente ottenuti con spremitura a freddo.

Sulle confezioni devono essere riportate le stesse indicazioni necessarie per gli oli d’oliva.

Tutti gli oli hanno lo stesso valore calorico, pari a 900 kcal ogni 100 g.

La cosiddetta “pesantezza” dell’olio è data soprattutto dall’abitudine di consumarlo cotto.

Infatti, gli acidi grassi per effetto della cottura subiscono delle trasformazioni chimiche che li rendono meno digeribili.

Gli oli differiscono tra loro anche per la resistenza alla cottura infatti, il più indicato per la frittura non è quello di semi vari, ma l’olio d’oliva, seguito da quello di arachide e di vinacciolo o dalle nuove produzioni definite alto oleico.

Produzione

I diversi semi oleosi, contengono normalmente circa il 20% di olio, per cui dopo essere stati decorticati e puliti vengono ridotti a farine con mulini speciali. Dopo macinazione sono riscaldati e umidificati in speciali condizionatori. Si prosegue con la spremitura che si effettua utilizzando presse continue che consentono di applicare alte pressioni e temperature superiori ai 170°C.

I prodotti estratti sono ricchi di mucillagini, farine di semi e varie impurezze che non li rendono idonei al consumo per cui sono necessari ulteriori trattamenti.

Raffinazione o rettifica indicano una serie di trattamenti industriali destinati ad eliminare da un olio l’acidità eccessiva e le sostanze estranee.

Le diverse tecnologie applicate possono essere a seconda delle necessità:

  • degommazione (rimozione di gomme e mucillagini);
  • deacidificazione;
  • decolorazione;
  • deodorazione;
  • demargarinazione (la rimozione delle cere).

Degommazione

Questa fase del processo, operando a circa 60 C°, rimuove fibre, carboidrati complessi, peptidi, polipeptidi, fosfolipidi, clorofilla e minerali.

Deacidificazione

L’olio viene trattato a circa 75 °C con idrossido di sodio o con una miscela di idrossido e carbonato di sodio. Operando stechiometricamente, questo trattamento permette di neutralizzare gli acidi grassi liberi portando l’acidità totale ai valori di legge (<0,5%). L’olio ottenuto dopo separazione, mantiene ancora pigmenti, che gli conferiscono un colore giallo.

Decolorazione

L’olio viene trattato con filtri per 15-30 minuti a 110 °C per rimuovere tutti i pigmenti, le sostanze aromatiche naturali ed eventuali tracce di saponi residui di precedenti trattamenti. Durante questo processo, gli acidi grassi essenziali subiscono delle modifiche con formazione di perossidi e acidi grassi con doppi legami coniugati.

Deodorazione

L’olio viene distillato a 240-270 °C, sotto pressione e in assenza di aria, per 30-60 minuti. Sono rimosse in tal modo le sostanze aromatiche, gli acidi grassi liberi, e molecole generate da eventuali processi precedenti e che sono responsabili di sapori sgradevoli. Durante questo processo si possono formare acidi grassi trans.

Alla fine dei trattamenti, l’olio ottenuto sarà neutro, incolore, inodore, insapore sarà pronto per essere utilizzato dal consumatore oppure per essere utilizzato negli alimenti che contengono oli vegetali come ad esempio molti prodotti da forno confezionati e/o inscatolati.

Oli di semi da pressione.

Sono oli di semi definiti naturali, perché ottenuti per semplice pressione a freddo, come si spremono, appunto, le olive per fare un ottimo extra vergine. In etichetta possono riportare ottenuto senza l’uso di solventi o altre affermazioni simili per invogliare i consumatori al loro acquisto.

Recentemente sono stati messi in commercio oli di semi di girasole estratti a freddo con il metodo meccanico riportando in etichetta che l’estrazione è avvenuta meccanicamente e non chimicamente. Solitamente, dato il costo, sono oli provenienti da agricoltura biologica. Gli oli da estrazione meccanica sono prodotti che possono presentare alcuni problemi di stabilità con una vita media non particolarmente elevata e un’acidità spesso superiore agli oli di semi raffinati.

Oli di semi ad alto oleico

Nel 1976 è stata sviluppata in Russia la prima varietà mutante di girasole, Pervenets, con alto contenuto di acido oleico. La mutazione, ottenuta chimicamente produceva una percentuale di acido oleico anche superiore al 70%.

Negli anni successivi con tecniche di miglioramento genetico tradizionali, negli USA sono stati prodotti molti ibridi, in cui è rintracciabile il gene alto oleico del Pervenets. Con il nome generico di NuSun i cultivar di girasole ad alto oleico nordamericani hanno raggiunto in USA il milione di acri coltivati.

Nonostante molte cultivar siano state sviluppate sia con mutagenesi chimica sia con radiazioni, le si considerano varietà naturali non essendo transgeniche.

Con mutazioni transgeniche è stato possibile, come per l’olio di colza, realizzare cultivar derivati dal girasole in grado di produrre oli con una specifica distribuzione di acidi grassi.

Attraverso alcune tecniche convenzionali di miglioramento genetico, quindi non OGM, è stato possibile ottenere varietà di semi oleosi (girasole in particolare) ad alto contenuto di acido oleico con concentrazioni maggiori dell’80%.

Questa caratteristica li rende interessanti per diversi impieghi, in particolare, quello alimentare.

Per le produzioni non sono necessarie particolari condizioni agronomiche perché le tecniche colturali sono le stesse utilizzate per le normali varietà. Unica attenzione la coltivazione deve essere isolata, in maniera tale che non avvengano delle impollinazioni incrociate con cultivar tradizionali.

Infatti, con una possibile ibridazione, l’olio ottenibile non sarebbe così ricco di acido oleico e perderebbe quindi il valore commerciale.

Gli oli di semi ad alto oleico sono ottenuti da piante appositamente selezionate per arrivare a un rapporto fra gli acidi grassi che si avvicini il più possibile a quello dell’extravergine, i cui benefici sono noti fin dai primi studi sulla dieta mediterranea.

Il processo di raffinazione tuttavia, può ridurre anche del 40% il contenuto in tocoferoli che sono, assieme ai fitosteroli, gli antiossidanti naturali di questi grassi vegetali. Entrambe queste classi di composti tuttavia non hanno proprietà antiossidanti comparabili con quelle dei polifenoli presenti nell’olio di oliva.

L’olio di semi di girasole è l’olio estratto dai semi del girasole (Helianthus annuus L.) della famiglia delle Composite e da cultivar o varietà mutanti sviluppate appositamente per modificarne la composizione in acidi grassi.

La coltivazione del girasole è tipica dell’Est europeo, ma negli ultimi anni si è estesa anche in Europa e in Italia.

L’olio di semi di girasole contiene lecitina, tocoferoli, carotenoidi e trigliceridi, con un elevato contenuto di acido linoleico.

L’olio di semi di girasole normale contiene mediamente il 20% di acido oleico, 70% di acido linoleico e dal 10% di grassi saturi.

L’olio di semi di girasole alto oleico è composto da circa 80% di acido oleico, 10% di acido linoleico e 10% di grassi saturi. La composizione in acidi grassi dell’olio è influenzata dalle condizioni ambientali di crescita della pianta.

Attualmente ci sono cultivar di girasole che forniscono oli con diverso profilo lipidico ovvero ad alto contenuto di acido linoleico, a medio contenuto di acido oleico e ad alto contenuto di acido oleico.

La maggiore percentuale di acidi grassi polinsaturi dell’olio di semi di girasole lo rende particolarmente suscettibile all’ossidazione e all’irrancidimento quindi non è indicato per cucinare e friggere, e andrebbe conservato in frigorifero in bottiglie opache come del resto tutti gli oli.

Da diverso tempo è in commercio un olio di girasole diverso da quello tradizionale ovvero l’olio di girasole alto oleico. L’acido oleico è l’acido grasso maggiormente rappresentato nell’olio d’oliva e possiede un solo doppio legame nella sua struttura e, a differenza dell’acido linoleico, l’acido grasso maggiormente rappresentato nell’olio di girasole tradizionale, che possiede due doppi legami e per questo definito polinsaturo.

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Figura 1. Gascromatogramma (GC/MS) di un olio di oliva extravergine commerciale.

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Figura 2. Gascromatogramma (GC/MS) di un olio di semi di girasole commerciale.

L’industria alimentare quindi inizia a produrre un olio di semi di girasole alto oleico (80% dichiarato), arricchito di vitamina E ed antiossidanti naturali, di rosmarino, alloro e salvia.

Si tratta di un olio molto simile all’olio di oliva con in più la possibilità di essere considerato ottimo per friggere in quanto viene dichiarato stabile superiori a 200 °C.

L’olio di semi di girasole alto oleico possiede una shelf-life di 24 mesi. In futuro potrebbe nascere una famiglia di prodotti simili anche perché le fonti di antiossidanti naturali da aggiungere si moltiplicano e  diventando sempre più economiche.

Partendo dai semi di girasole tradizionali si ottiene un olio con un punto di fumo intorno ai 130° per cui sarebbe impossibile raggiungere i 200-220° che sono il punto di fumo degli oli da frittura. Come quelli che usano un mix con alta frazione di palma bifrazionato.

Il punto di fumo è una caratteristica fondamentale per un grasso destinato alla cottura infatti è la temperatura alla quale le molecole degli acidi grassi si degradano dando luogo ad altri composti tossici per l’organismo.

Quindi dovrebbe essere il più è elevato possibile. Per ottenere questo risultato l’industria, durante la fase di distillazione presente nella produzione di tutti gli oli di semi estratti con solventi organici, separa la frazione di acido oleico raccogliendo in tal modo la parte di monoinsaturi dell’olio più idonei per la cottura dell’olio così ottenuto.

In tal modo si ottiene un prodotto per frittura che riesce a essere più stabile anche dell’olio d’oliva e di quello di arachidi che, possiedono un punto di fumo di circa 180°.

Non solo, minori concentrazioni di acido linoleico rispetto ad altri oli di semi, conferiscono un ridotto potere infiammatorio in quanto l’acido linoleico favorisce la produzione di prostaglandine nell’organismo e un eccesso sbilancerebbe il rapporto omega 6-omega 3 determinando una possibile infiammazione sistemica.

Altro vantaggio derivante dall’utilizzo di un olio che apporti elevate dosi di acido oleico è la regolazione delle lipoproteine plasmatiche. L’acido oleico infatti tende ad aumentare la produzione di HDL (colesterolo buono), migliorando il profilo lipidemico e la prevenzione nelle patologie cardiovascolari.

Anche se i vantaggi possono essere considerati importanti, si tratta sempre di un olio di semi. Attualmente, tra gli oli vegetali sembrerebbe quindi la scelta migliore per l’utilizzo in cottura e, specialmente, per le fritture.

Anche in cosmetica l’olio di girasole è utilizzato come emolliente per ammorbidire e rendere liscia la pelle. L’effetto sulla pelle è pressoché immediato e si può recuperare in poco tempo un buon livello di elasticità e tono, soprattutto per quelle pelli che si stanno divenendo cadenti ed opache con l’avanzare dell’età.

Il nome dell’olio di semi di girasole secondo la classificazione INCI è Helianthus annuus (SunflowerSeed Oil. La varietà ad alto oleico viene denominata: Helianthus annuus Hybrid Oil.

In cosmetica, è considerato anche come non comedogenico. Anche se solo la varietà ad alto contenuto di acido oleico presenta una conservabilità che ne consente l’inserimento nelle formulazioni cosmetiche commerciali.

Inoltre, l’olio di semi di girasole può essere utilizzato sia per la prevenzione, sia per la cicatrizzazione di ferite e l’industria cosmetica lo utilizza crudo anche come ingrediente in moltissime preparazioni.

Naturalmente nessun olio di semi sarà paragonabile all’olio extravergine di oliva perché gli oli di semi devono subire, per legge, processi chimici che ne riducono fortemente il valore nutrizionale, motivo per cui alcuni vengono addizionati con vitamine ed antiossidanti con l’obiettivo di aumentarne la shelf-life e il punto di fumo.

L’olio extravergine d’oliva invece non potendo subire per legge processi chimici, rimane il più naturale e salutare.

FONTE:

CULINARY NUTRITION REDAZIONE 

*LE CINQUE REGOLE PER IL FRITTO PERFETTO

*(Antecedenti all’immissione sul mercato dell’Olio di Semi Alto Oleico, anche se si fa già riferimento ad oli speciali)

Chi lo ha detto che bisogna evitare di mangiare la frittura? Al contrario, come afferma Chiara Manzi, esperta in Culinary Nutrition e autrice del libro “Antiaging con gusto” (Ed. Sperling&Kupefer), il fritto conserva molto bene sia le vitamine delle verdure che gli Omega 3 del pesce  grazie al  breve tempo di cottura e alla croccante pellicola  esterna che si forma proteggendo l’alimento dal contatto con l’ossigeno e dalle alte temperature.

“La frittura può fare male solo se assorbe troppo grasso – afferma la dottoressa Manzi – Il fritto, infatti, è molto calorico perché il grasso di frittura viene assorbito dall’alimento e  sappiamo che un solo cucchiaio di olio aggiunge al piatto 90 kcal”.

Ma basta rispettare cinque  semplici mosse che ci insegna la dottoressa Manzi per avere un fritto perfetto:

1 L’olio deve essere abbondante e ben caldo, a 180°C. E’ fondamentale avere una friggitrice con termostato per tenere la temperatura costantemente sotto controllo.

2 L’alimento deve essere poco “rivestito”. Se, per esempio, l’alimento viene solo infarinato, come nel caso della frittura di pesce, assorbe la metà dell’olio rispetto a un alimento impanato, come la cotoletta. Pastella e tempura assorbono tantissimo olio, fino a 50 g per ogni 100 g di alimento.

3 Usare olio extravergine d’oliva o l’olio d’arachide perché sono salutari in quanto insaturi e allo stesso tempo resistenti alle cotture anche prolungate. Anche lo strutto è adeguato per friggere sia per il suo elevato contenuto di grassi monoinsaturi sia per il suo limitato assorbimento da parte degli alimenti. Lo strutto infatti possiede grassi di con caratteristiche speciali e penetra molto meno del burro e degli oli negli alimenti fritti: addirittura tre volte di meno. Al contrario, i doppi legami che caratterizzano l’insaturazione si ossidano facilmente. Sono sconsigliate per tanto dalla dottoressa Manzi le fritture in oli di soia e girasole o in oli speciali per la frittura in genere ricchi di grassi saturi, frazionati o idrogenati.

4 Essenziale l’attenzione a scolare il fritto dall’olio con una pinza o un ragno, in modo da sgocciolare bene il grasso, e poi assorbire bene l’olio tamponando per tre volte il cibo con la  carta assorbente.

5 Infine, evitare di bruciare l’olio o gli alimenti e quindi che si formino sostanze nocive come acroleina e acrilammide.

Un fritto così è una vera bontà non solo al palato!


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PATATE CANCEROGENE, COME EVITARE IL RISCHIO ACRILAMMIDE; BY CHIARA MANZI

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